Quanto dovrebbe durare il lavoro su di se?

Assunzione di responsabilità e passi verso la realizzazione degli obiettivi personali Spesso le persone mi chiedono: “Quanto tempo mi ci vorrà per risolvere definitivamente i miei problemi? “ La mia risposta è sempre la stessa:“ Dipende da quanto forte è il desiderio e l’intenzione di uscirne fuori e dalla volontà di applicare e utilizzare tutti gli strumenti che fornisco durante il lavoro insieme.” Per quanto riguarda invece il tempo, sono in accordo con Stuart Wilde che è stato uno scrittore e conferenziere britannico, uno dei maggiori esponenti del movimento motivazionale del potenziale umano. Lui riteneva che il rapporto tra terapeuta ed il suo assistito non dovrebbe durare più di un anno. Per il semplice motivo che la persona è assolutamente in grado di assumersi la totale responsabilità nei confronti della propria vita e del proprio cambiamento. Dopo un determinato periodo di tempo trascorso con una guida nel muoversi verso la realizzazione dei propri obiettivi ognuno (escludendo naturalmente i casi in cui ci sono le patologie gravi) è in grado di diventare autonomo. Diversamente si corre il rischio di crearsi la dipendenza pensando che il terapeuta sia responsabile per il proprio cambiamento con il risultato che si rimane per anni legati ad una figura esterna dando a lei tutto il potere della propria realizzazione. E’ di cruciale importanza ricordarsi che ogni individuo è responsabile per il proprio cambiamento e che una guida (life coach, psicoterapeuta o counselor) fornisce semplicemente degli strumenti che ha acquisito grazie alla propria esperienza di vita e grazie agli studi fatti. Ma non per quello è responsabile del cambiamento positivo delle persone. Se entrambi (terapeuta e assistito) si coinvolgono nel gioco::” Io ti ho salvato – tu mi hai salvato” ,sappiate che si è messo in mezzo l’ego e un cambiamento autentico non sia più possibile. Possiamo farcela da soli? Ognuno di noi porta dentro di se tutto il sapere necessario per risolvere i propri problemi. Tuttavia capita spesso che una persona non sia in grado di comprendere la causa del proprio disagio e le / gli mancano gli strumenti per risolverlo. In quei casi è necessario cercare l’aiuto di un life coach o di un terapeuta. Dopo un periodo di tempo (indicativamente un anno) la persona dovrebbe essere in grado di cavarsela da sola. Esperienza diretta può descrivere al meglio quello di cui vi sto parlando. Condivido con voi l’esperienza di Elisa, la mia cliente che ha lavorato intensamente con me per un anno ed ora è finalmente pronta a giocare la partita finale della sua vita, autonomamente e autenticamente. Esperienza della mia cliente che ha cambiato se stessa e la sua vita Quando l’ho conosciuta, Elisa era una donna piena di rabbia nei confronti delle circostanze che le avevano, secondo le sue convinzioni di allora, rovinato la vita. Lavora in banca, e all’epoca non era in grado di guardare il suo direttore negli occhi senza diventare rossa. Aveva diversi problemi di salute che le impedivano di essere concentrata ed efficace sul posto di lavoro e le capitava spesso di essere assente. Chi è diventata invece Elisa? Ecco la sua storia: “E’ passato un anno da quando ho raccontato la mia esperienza, un anno intenso in cui ho imparato a riconoscere e gestire le emozioni come rabbia, risentimento, senso di colpa, paura. Ci sono stati momenti in cui l’ego si è messo di mezzo e ho rallentato il mio cambiamento. Poi, però, mi sono ripresa e ho fatto altri passi avanti. Ho lavorato molto con le affermazioni, ho fatto sedute periodiche con Ana e ho rifatto il corso Ricordati chi se” a febbraio, undici mesi dopo la prima esperienza. Negli ultimi dodici mesi ho lavorato con le affermazioni, ho trovato molte resistenze nello scriverle, ho vinto le resistenze, ho tenuto un diario dei miei progressi e, soprattutto, ho avuto molti risultati positivi: ho riallacciato i rapporti con la mia famiglia, al lavoro si sono accorti del mio cambiamento e si sono complimentati con me, ho ricevuto dei regali dai colleghi. Durante il corso di febbraio ho scoperto altri schemi da modificare e ci ho lavorato su; poco dopo è accaduto un piccolo, importantissimo, miracolo: una persona mi ha fatto perdere le staffe e ho capito che si trattava di uno schema da modificare. Ora riconosco che dietro le emozioni c’è uno schema o una credenza e non mi lascio più sopraffare dagli eventi. Rifletto e capisco che il problema è mio e cerco di capirne l’origine. Poi ci lavoro su. Non è tutto perfetto, ci sono ancora delle giornate difficili ma è proprio questo il divertimento: nuove, seppur vecchie, sfide da affrontare. Ragazzi, la vita è davvero una fantastica avventura. Dopo il mantra adattarsi, improvvisare, raggiungere lo scopo – che indicava più un combattimento con la vita – ora seguo il mantra da ogni esperienza deriva solo il mio massimo bene e tutto è più facile. Perché adattarsi? Non è forse un modo di subire la vita, le situazioni che si presentano e reagire da vittima? Perché invece non capire che siamo responsabili delle nostre scelte e che possiamo cambiare il nostro approccio alla vita? Perché ritenere gli altri il nemico quando il vero nemico siamo noi stessi? Il mondo non è cattivo, la gente non è cattiva siamo noi che li vediamo così perché è più facile incolpare qualcun altro che guardare dentro di noi. Non sono una credente ma mi rifaccio ai Vangeli: «Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio di tuo fratello» E se le travi fossero le nostre credenze limitanti, i nostri schemi che non ci permettono di vedere chiaramente? Trasformazione Secondo voi, è in grado Elisa oggi di camminare con le proprie gambe attraverso la vita? La risposta è piuttosto facile. Qualche giorno fa mi è arrivato un messaggio da Elisa: “Oggi abbiamo passato un’intera giornata in riunione. Direttore non ha fatto altro che parlare di me e di quanto io
Conosci la tua forza?

In contatto con se stessi, la propria bellezza e la vera forza Quanto è in grado un essere umano di sopportare il dolore emozionale? Perché alcuni riescono a superare le grandi sfide e a trovare un significato più profondo nella propria vita e altri semplicemente rinunciano ed entrano in uno stato passivo cercando la via d’uscita nell’alcol, nei calmanti, nelle droghe o nella sessualità compulsiva? I traumi del passato Ho conosciuto Marina circa un anno fa. Ha partecipato ad un paio di seminari serali che ho tenuto. Mi ricordo le sue domande, curiose e intelligenti. Insegna matematica e scienze, ama il suo lavoro con i ragazzi. Mi aveva chiesto di vederci per una sessione individuale perché voleva parlarmi di alcune questioni personali. Quel giorno, mentre l’aspettavo per la sessione, mi ricordo di aver pensato che non sembrasse una persona con grossi problemi. Ero curiosa di scoprire la sua storia. Marina mi parlava del suo desiderio di entrare in una relazione di coppia profonda e duratura perché fino ad ora non era mai riuscita ad averne una. Come da prassi, le avevo fatto alcune domande sul suo passato e sulla sua famiglia d’origine per poter avere le informazioni e valutare le cause della sua insoddisfazione nell’ambito della relazione di coppia. Quello che mi aveva detto mi aveva scioccato a tal punto che avevo quasi rischiato di cadere dalla sedia dopo averlo sentito. Pensavo di aver già sentito quasi tutto quello che possa capitare di difficile ad un essere umano, tuttavia quello che mi aveva raccontato Marina aveva confermato che non fosse così. Marina ha esordito dicendomi che stava cercando una soluzione concreta per gestire il suo dolore e che fino ad ora aveva bussato a diverse porte, ma non era ancora riuscita a comprendere perché alcune sfide dovessero capitare proprio a lei. “Di che cosa si tratta?” Le ho chiesto. “Qualche anno fa mio fratello ha ucciso suo figlio, il mio amato nipote, e poi si è tolto la vita. A distanza di qualche anno mio padre aveva tentato il suicidio perché non riusciva più a sopportare il dolore per la perdita dei suoi cari e dopo un calvario di qualche mese è mancato.” Mentre parlava le lacrime le scendevano dagli occhi e anche a me mentre la ascoltavo. Dopo avermi raccontato tutto l’ho guardata negli occhi e mi ricordo di averle detto che ammiravo il fatto che fosse rimasta normale dopo una tragedia così e che io non fossi sicura di come ne sarei uscita se fosse capitato a me. Le avevo detto che solo il pensiero verso quello che le era capitato mi procurava un grande dolore e che non potevo neanche immaginare come lei si sentisse. Alla fine del nostro incontro Marina mi aveva detto che la sua scelta era di guarire finalmente la sua anima dalla sofferenza e che nelle mie parole aveva sentito la sincerità. Così iniziò il suo percorso. La storia di Marina Dove l’ha portata il percorso e come si sente Marina oggi? Lo lascio raccontare da lei stessa: “Ieri sera Ana mi ha proposto di scrivere una testimonianza sui benefici che ho ottenuto grazie al lavoro svolto con lei nei mesi passati. Per la prima volta non ho rifiutato, ma le ho risposto: ci provo. Vediamo cosa salta fuori. Questo semplice gesto per me è già un grosso cambiamento, non aver paura di sbagliare, di non essere all’altezza e di essere giudicata, ma esprimere con gioia e liberamente le mie emozioni e raccontare la mia esperienza personale. Io negli ultimi anni ho sofferto molto a causa della perdita improvvisa di mio fratello e nipote e dopo alcuni anni di mio padre. Io ho sempre creduto che da esperienze negative possa nascere tanto amore, ma mi mancavano gli strumenti e facevo fatica a mantenere ciò nel tempo. Il percorso fatto con Ana per me è stato questo: ritrovare la mia vera essenza di Amore e finalmente perdonare e lasciare andare la rabbia e il giudizio nei confronti di chi mi ha arrecato tanta sofferenza e soprattutto lasciare andare i miei sensi di colpa. Partendo da questo ho iniziato ad amarmi e stimarmi profondamente e ad accettarmi per quello che sono, prendendo consapevolezza che il mio obiettivo di vita è amare il prossimo con semplicità, umiltà senza aspettative. Ho compreso che il dolore nasceva da me stessa, era la mia mente a generare pensieri negativi che alimentavano la paura, bloccando le mie azioni. Con il percorso ho iniziato ad entrare maggiormente in contatto con me stessa, iniziando a riconoscere le mie emozioni, a viverle e lasciarle andare. Ciò mi ha resa molto più forte, sensibile e accogliente in primis con me stessa e subito dopo con le persone con cui interagisco. Con questo non voglio dire che non ci siano periodi difficili, ma è cambiato l’approccio nel vedere e affrontare le sfide quotidiane ed essere la vera attrice della mia vita. Grazie di cuore ad Ana e a tutte le persone che hanno condiviso con me questa esperienza. Dov’è la nostra forza? Quando ho sentito Marina telefonicamente qualche giorno fa mi ha ringraziata e mi ha detto che adesso sta bene. Sta ancora usando gli strumenti che aveva ricevuto durante il percorso fatto insieme. Mi ha anche detto di essere consapevole che quello che ha vissuto sia stato molto doloroso, ma è riuscito a placarsi. Il ricordo della perdita dei suoi cari non ha più un impatto così doloroso e così traumatico come una volta. Ha aggiunto che il suo desiderio è che la sua esperienza possa dare la motivazione e la speranza alle persone che stanno affrontando un grande dolore e stanno cercando una via d’uscita. Siamo forti, autenticamene forti. La triste realtà è che poche persone sono veramente consapevoli di questo. Spero che tutte le persone vengano in contatto con la propria forza e la propria bellezza. Marina ci è riuscita. È riuscita a vedere la bellezza della sua anima e comprendere quanto
Abuso psicologico nella relazione di coppia

Perché le donne non se ne vanno dalle relazioni disfunzionali? Ogni volta che una persona nuova mi contatta e mi chiede aiuto perché sta vivendo un problema (e più delle volte sono le donne che non sono felici in una relazione di coppia) per me è come ricevere una conferma di quanto è importante la professione che ho scelto e che amo con tutta me stessa. Ci sono tantissime persone che non riescono a intravedere una via d’uscita dalla situazione nella quale si trovano. Ci sono pochissime donne che sono realmente e profondamente felici nella relazione di coppia e nel matrimonio. Spesso mi dicono che gli uomini si comportano in maniera disinteressata nei loro confronti, smettono di essere romantici, pensano solo al lavoro, non aiutano in casa. Quelli sono problemi classici che inevitabilmente subentrano nelle relazioni durature dopo il primo periodo di innamoramento. Invece ci sono altri segnali, più subdoli ma molto pericolosi che le donne captano e che interpretano come problemi. Invece si tratta di violenza psicologica che quasi mai viene compresa come tale perché non evidente come quella fisica. Di che cosa si tratta? Per esempio, quando è evidente che un uomo mente dicendo che sta uscendo con gli amici, lasciando la donna da sola ad aspettarlo fino alla notte fonda. La violenza psicologica si può riconoscere quando uomo offende la donna ferendola direttamente nel suo valore. Ho avuto un caso dove una mia cliente mi aveva raccontato che il suo partner evitava di uscire con lei perché riteneva che fosse molto grassa quindi non presentabile. Non solo, le diceva anche che era poco capace e non molto intelligente. Mi capita di incontrare e di lavorare con tantissime donne che sopportano la violenza psicologica per anni accontentandosi con briciole di attenzione. In più spesso giustificano il partner dicendo che lui in fondo le vuole bene e sperando che un giorno lui cambierà. Di che cosa si tratta e perché le donne sopportano tutto quello? Parliamoci chiaro, apparentemente queste donne sembrano donne di successo, laureate, curate, con un buon lavoro. Perché allora non abbandonano la relazione e perché non lasciano quell’aggressore così subdolo? La risposta sta nella mente subconscia, laddove sono registrate le convinzioni e le emozioni che hanno fatto da calamita e attratto un comportamento di quel genere. La convinzione che tutte, proprio tutte le donne custodiscono nella loro mente subconscia è: “Io non valgo”. Sappiate tuttavia che ,se doveste chiedere proprio a quelle donne che cosa pensano del loro valore, quasi tutte risponderebbero di avere una buona autostima. Perché? Per il semplice motivo che la loro convinzione “io valgo” appartiene a quella parte della mente che è solo 8% e misura il valore con dei risultati (una laurea, un buon lavoro, bell’aspetto). Invece la convinzione “Non valgo” è registrata nel serbatoio della mente subconscia ed è purtroppo quella nella quale la persona veramente crede, ma come svela la parola subconscio, non ne è affatto consapevole. Uno dei modi infallibili dove si possono verificare gli effetti di quella credenza è nella qualità delle relazioni intime durature. Bisogna anche comprendere che nella mente inconscia delle donne sono registrate anche tutte le esperienze delle madri, delle nonne, delle bisnonne che hanno vissuto il rapporto con se stesse in maniera molto difficile sentendosi sottovalutate e di minor importanza rispetto agli uomini. Esiste anche una mente collettiva, come se ci fosse un campo invisibile che accomuna tutti gli esseri umani e anche se le donne oggi possono considerarsi importanti tanto quanto uomini quelle memorie antiche sono ancora presenti e nutrono la convinzione “Io non valgo”. Come uscirne? Il primo passo è riconoscere la situazione in cui la donna vive la violenza psicologica e ammettere a se stessa che quel rapporto e quel comportamento del suo partner non stanno nutrendo il suo valore. Il secondo passo è non illudersi che quella situazione si potrà risolvere da sola e che il partner un giorno cambierà. Se si dovesse entrare in conflitto con il partner, può darsi che lui cambierebbe per un periodo di tempo ma inevitabilmente le cose tornerebbero ad essere come prima. Questo non vuol dire che bisogna sopportare tutto ed essere passive, certe volte uno scontro verbale è necessario. Tuttavia la situazione non si risolve solo con il conflitto. E’ fondamentale che le donne si assumano la responsabilità di lavorare su se stesse evitando di incolpare le circostanze per quello che sta succedendo, e neanche incolpare se stesse. Incontrare il proprio valore autentico è la cosa più importante che le persone possano concedersi. Quello richiede l’investimento di tempo e grande impegno. Ma ne vale ampiamente la pena. La ricompensa è una pace profonda con se stessi, amore per se che non dipende da un risultato esteriore, che esiste a prescindere, indipendentemente dal fatto di essere coinvolti in una relazione o no. Entrare in una relazione di coppia avendo la piena consapevolezza del proprio valore è un’esperienza profondamente appagante. I partner si scelgono perché vogliono stare insieme, non per bisogno di colmare un vuoto. Solo così si è in grado di dare a se stessi e all’altra persona quello di cui ha veramente bisogno. La persona in pieno contatto con il proprio valore avrà accanto a se un partner che le specchierà niente meno di attenzione amorevole, rispetto, cura e reale supporto. Siete pronti ad esclamare: “Valgo solo perché esisto!”.